VIII Congresso dell'Associazione Mondiale di Psicoanalisi AMP
L'ORDINE SIMBOLICO NEL XXI° SECOLO
NON E' PIU' QUEL CHE ERA. QUALI CONSEGUENZE PER LA CURA?
Associazione Mondiale di Psicoanalisi

Dal 23 al 27 Aprile 2012
Hotel Hilton

Macacha Güemes 351, Puerto Madero
Ciudad de Buenos Aires, Argentina
INIZIO COMITATO D'ORGANIZZAZIONE CONTATTO
TESTI

Conferenza di Jacques-Alain Miller
per Jacques-Alain Miller

Jacques-Alain MillerIV Congresso dell’AMP svoltosi a Comandatuba, Bahia (Brasile), 2004

Una fantasia
Comincio con una fantasia. È un’idea che mi è venuta ascoltando, ieri mattina, i miei colleghi, i nostri colleghi che ci hanno detto, in fin dei conti, la stessa cosa: i soggetti contemporanei, postmoderni, se non addirittura ipermoderni, sono dei disinibiti, dei neo-disinibiti, sono "desamparados", smarriti, hanno perso la bussola. Ascoltandoli mi dicevo: Eh!, sì! Eh!, sì! Eccome! Quanto abbiamo perso la bussola! Com’è vero! Ed è difficile immaginare una sequenza di quattro colleghi che sono d’accordo fra loro, poi essere d’accordo con loro e sentire che tutti sono d’accordo, che c’è un consenso su questo punto. Ascoltandoli, quindi, mi domandavo: da quando è così, da quando abbiamo perso tutti la bussola? E mi rispondevo: senza dubbio, da quando la morale civile – come diceva Freud, è un’espressione di Freud – è stata fatta vacillare, da quando si è dissolta. E la psicoanalisi c’entra qualcosa nella dissoluzione della morale civile.

Noi qui, non proprio tutti, non i più giovani dei nostri uditori, delle nostre uditrici là in fondo. Ma noi, noi abbiamo ancora il ricordo di quella che è stata tale morale civile. Ne abbiamo ancora la significazione. Perlomeno l’abbiamo ancora abbastanza per poter comprendere e persino per poter sentire la nostra civiltà attuale, per sentire lo stato attuale della nostra civiltà come immorale, come uno stato che va verso l’immoralità. In effetti, la morale civile - nel senso in cui la intendeva Freud - dava una bussola. Dava una ringhiera agli smarriti, senza dubbio perché essa inibiva. Ci si potrebbe, comunque, chiedere: perché tale morale civile, nella sua stagione migliore, alla fine della seconda metà del XIX secolo, nell’epoca vittoriana che Lacan ricordava, fu così crudele? È possibile che tale crudeltà morale rispondesse già a una crepa, a una faglia che si stava già allargando nella civiltà. Potrebbe darsi che tale morale civile, finché è stata in vigore negli animi, è possibile che fosse già una formazione reattiva. Reattiva a un processo avviato già da molto tempo. E, dunque, sognavo: forse abbiamo perso la bussola da quando abbiamo delle bussole. Voglio dire: forse abbiamo perso la bussola da quando la pratica dell’agricoltura, che non è la nostra, che non è necessariamente in primo piano, da quando l’agricoltura ha ceduto a poco a poco il posto dominante, nelle nostre società, all’industria. Non si pensa abbastanza all’agricoltura. È da lì, forse, che viene tutto il male: la metafora dell’agricoltura da parte dell’industria. La civiltà agricola è una gran cosa!

Per essere serio, vedo che potrei prendervi per un Concilio. Una riunione dell’AMP – forse Graciela ha cambiato un po’ le cose – ma, ai miei tempi, non era un Concilio.

Allora, la civiltà agricola trova i suoi punti di riferimento nella natura, nel ciclo invariabile delle stagioni. Certo, c’è una storia dei climi. I buoni ingegni stanno ricostituendo la storia dei climi; questo, però, non altera il ciclo invariabile delle stagioni, che ritmava la civiltà agricola, di modo che, in effetti, essi potevano trovarci i loro punti di riferimento, i loro simboli, nelle stagioni e nel cielo. Il reale agricolo è celeste. È amico della natura. Con l’industria, con quella che si chiama la rivoluzione industriale, tutto ciò è stato spazzato via, a poco a poco. Gli artifici si sono moltiplicati e, nel momento in cui siamo, dobbiamo constatare che il reale divora la natura, che si sostituisce a essa e che prolifera. Ecco una seconda metafora: la metafora della natura da parte del reale.

Pensavo anche che è ciò che costituisce il fascino del Seminario dell’angoscia, che ho riletto più di una volta, dopo averlo stabilito. Perché il Seminario L’angoscia (Sém. X) ci presenta l’oggetto a minuscolo, se così posso dire, allo stato di natura. L’oggetto a minuscolo che si libera dal corpo, che è un pezzo di corpo - che si tratti di un pezzo percettibile o di un pezzo impercettibile. Nel Seminario L’angoscia l’oggetto a minuscolo è come allo stato di natura, viene preso a quel livello. Quando, invece, si tratta della produzione industriale del più-di-godere, se dovessimo descriverla, ci metteremmo sicuramente un ben altro accento.

Allora, la mia fantasia continuava così, con una domanda: essere senza bussola significa essere senza discorso? Significa essere caotici, schizofrenici, come dicevano Deleuze e Guattari che, questo pomeriggio, sono stati lautamente commentati? E, in primo luogo, noi non abbiamo proprio nessuna bussola? Forse ne abbiamo un’altra.

C’è una frase di Lacan, che è stata citata due volte ieri e che, a me, era servita da bussola durante il mio corso fatto con Éric Laurent L’Altro che non esiste e i suoi comitati d’etica, una frase che segnala la salita allo Zenit sociale dell’oggetto piccolo a. C’è lo Zenit, il punto più alto, e c’è il Nadir, il punto più basso, che possono essere avvistati nel cielo. Questa frase mi serviva da bussola perché segnalava che abbiamo toccato il cielo. Abbiamo toccato il cielo antico e immobile, il cielo immobile agricolo a cui si riferivano delle società immobili o lente a cambiare, delle società fredde o tiepide. Ciò che questa frase di Lacan segnalava è che un nuovo astro è spuntato nel cielo sociale, nel socielo, socielo in spagnolo. E questo nuovo astro socielo, se così posso dire, è quello che Lacan aveva trascritto come oggetto piccolo a, sempre il risultato di una forzatura, di un passaggio al di là dei limiti che Freud ha scoperto, a modo suo, precisamente in un al di là. Elemento intensivo che rende superata qualsiasi nozione di misura, che va verso il senza misura, seguendo un ciclo che non è il ciclo delle stagioni, ma bensì un ciclo di rinnovamento accelerato, d’innovazione frenetica. Allora, perciò, mi sono posto la domanda: forse che l’oggetto piccolo a - come dire? – non sia la bussola della civiltà d’oggigiorno? E perché no? Cerchiamo di vederci il principio del discorso ipermoderno della civiltà. Allora, vediamo se possiamo costruire questo discorso.

Daremo a questo oggetto – è una designazione discutibile per lo stesso Lacan: nominare ciò di cui si tratta, l’oggetto correlativo di un soggetto e, inoltre, metterlo tra parentesi per essere certi che resti al suo posto. È una designazione che, allo stesso Lacan, non è sembrata totalmente soddisfacente, se così posso dire. Ad ogni modo, utilizziamola. Diamo, nell’eventuale discorso della civiltà, il posto dominante a questo oggetto.

Tale oggetto – è la nostra ipotesi – s’impone al soggetto che ha perso la bussola, lo invita a superare le inibizioni. Scriverò, molto semplicemente, con il simbolo che ci serve comunemente, $.

a $

Di recente abbiamo isolato il termine "valutazione". L’abbiamo isolato, è dire troppo. Ci è stato imposto, siamo stati storditi con questo termine, tutta l’Europa è stordita dal termine "valutazione" che, negli Stati Uniti d’America, credo sia già entrata nella pratica corrente. Insomma, in Europa la cosa sta assumendo una piega tirannica.

Poniamo che il soggetto che ha perso la bussola sia invitato a produrre della valutazione. Qui, quindi, scrivo S1.

a $

S1

Quello che scrivo con l’S1 è l’uno contabile della valutazione, della valutazione da produrre. Mi sembra ancor più benvenuto poiché, in tale posto, sostituisce l’S1 del significante padrone che, invece, è destinato a cadere. Potrei trovare ancora altre significazioni a tale S1 e vederci, per esempio, il significante di quello che, negli Stati Uniti, viene chiamato self-help. Ho visto che, in spagnolo, si dice autoayuda. Non so neppure come si dica in francese. Non ho l’impressione che vi sia un termine corrente. Si parla di sviluppo personale, ma, in francese, la traduzione di self-help è stata rinviata, non si osa ancora tradurlo.

Credo che vediate dove voglio giungere, nella mia fantasia: voglio giungere a scrivere anche l’S2 nel quarto posto.

a $

S2 S1

Ecco quello che propongo come fantasia, come struttura del discorso ipermoderno della civiltà: S2, il sapere, al posto della verità/menzogna, non mi sembra mal posto oggi nella civiltà. La nozione secondo cui il sapere non è che sembiante ha fatto numerosi adepti e fa pressione su di noi. Non si tratta, propriamente parlando, di uno scetticismo né di un nichilismo, ma diciamo di un relativismo o persino, come dicono talvolta i filosofi, di un prospettivismo – a proposito del quale qualcuno dell’Argentina mi ha testimoniato sino a che punto, l’aver aderito a una filosofia prospettivista, gli avesse dato sollievo.

Ecco dove porta la mia fantasia. Non posso fare diversamente che seguirla, il che mi conduce a pensare che il discorso della civiltà ipermoderna abbia la struttura del discorso dell’analista! È un risultato molto sorprendente. Per me, anzitutto, è un risultato che può sembrare assurdo. In fondo, è una sfida, se vogliamo, giustificare tutto ciò, quando emerge.

In primo luogo, se riflettiamo bene, senza emozione, Lacan non ha esitato a porre che il discorso del padrone era la struttura del discorso dell’inconscio, che entrambi avevano la stessa struttura. Ora, se vogliamo, il discorso del padrone è il discorso sociale, è il discorso di una civiltà che è prevalsa dall’antichità in poi. Egli è arrivato a dire: è la stessa struttura del discorso dell’inconscio. Dunque, non è assurdo, a priori, che il discorso della civiltà oggi abbia la stessa struttura del discorso dell’analista, non è inconcepibile, su delle basi, eventualmente desideranti, a partire dalle quali noi lavoriamo.

Allora, se lo si accetta, se ne vede la difficoltà: il discorso dell’analista un tempo era l’analizzatore del discorso dell’inconscio, che era il suo rovescio, nevvero? Quello che Lacan chiama il rovescio della psicoanalisi è il discorso del padrone. Il discorso dell’analista poteva analizzare il discorso dell’inconscio e la sua potenza interpretativa e sovversiva trovava, allo stesso tempo, di che esercitarsi sulla civiltà e sui fenomeni delle società con cui aveva a che fare e con cui si aveva a che fare, come cercavo di mostrare, sin dalla più remota antichità.

Oggi, se questo è vero, se la mia fantasia conduce da qualche parte – è da vedersi -, se tale fantasia è vera, il discorso della civiltà non è più il rovescio della psicoanalisi, è il successo della psicoanalisi. Bene! Bel colpo! Ma, di fatto, ciò mette in questione al contempo il mezzo della psicoanalisi, vale a dire l’interpretazione, e mette in questione la sua fine, se non addirittura il suo inizio. Si potrebbe dire – se si parte dal fatto che il rapporto tra civiltà e psicoanalisi non è più quello tra rovescio e diritto – che è piuttosto dell’ordine della convergenza, vale a dire che ognuno dei suoi quattro termini resta disgiunto dagli altri nella civiltà; che, da un lato, il più-di-godere comanda, il soggetto lavora, le identificazioni cadono, sostituite dalla valutazione omogenea delle capacità, mentre il sapere si attiva a mentire e a progredire altrettanto bene, senza dubbio. Si potrebbe dire che, nella civiltà, questi diversi elementi sono sparsi e solo nella psicoanalisi, nella psicoanalisi pura, tali elementi si ordinano in discorso.

In effetti, per noi c’è sicuramente un richiamo in quella direzione, il ripiegamento sul discorso del padrone. Perlomeno in Francia, non mancano gli psicoanalisti – sono senza dubbio più numerosi di noi – che sognano e che si attivano all’idea di rimettere a posto l’ordine del discorso del padrone. Rimettere a posto il padrone per poter essere ancora sovversivi: "Francesi, ancora uno sforzo per essere reazionari, altrimenti non sarete rivoluzionari!".

Si vede bene di che si tratta, data la situazione difficile che il suo successo ha prodotto nella psicoanalisi. Non ho portato con me il testo, molto recente, di due o tre mesi fa, ma è scritto. Si vede che cos’è la nozione di una pratica rivoluzionaria della psicoanalisi, in cui la psicoanalisi consisterebbe ormai nel passare ai famosi soggetti privi di bussola i significanti padroni della tradizione. C’è il testo in cui oggi si spiega che gli psicoanalisti, che hanno a che fare con tali soggetti privi di bussola, devono realmente rinunciare alla sua antica sovversione e devono cominciare a rifilare, a dare in mano, a mettere nella testa, ai loro pazienti i significanti della tradizione perché, se questi mancano, niente può accadere.

Sono lungi dall’aver letto molte cose nell’ambito della psicoanalisi odierna, ma ho l’impressione che, per il momento, la cosa non abbia ancora assunto una forma di massa, ma che si stia abbozzando. Forse domani avremo una psicoanalisi che avrà l’obiettivo di ricostituire l’inconscio d’altri tempi. D’altronde, nel suo principio, la reazione psicoanalitica non è diversa dall’ascesa dei fondamentalismi. È la stessa nozione. Vedremo degli psicoanalisti che ricostituiscono l’inconscio, che cercano di ricostituire artificialmente l’inconscio d’altri tempi, l’inconscio di ieri, così come vediamo salire sulla scena del mondo, e cambiare la nostra vita quotidiana, i nostri viaggi, i nostri svaghi, infine, i pazzi di Dio. È la stessa cosa: i fondamentalisti freudiani….

Nella psicoanalisi si sta decidendo anche una seconda posizione, una posizione che possiamo definire passatista e che consiste nel dire: non succede nulla, nulla ha luogo. L’inconscio è eterno, l’eterno che è il tuo Dio, se così posso dire.

La terza posizione che si sta abbozzando - se la prima è rivolta verso il passato, se la seconda risiede in un presente eterno - possiamo dire che questa sia progressista. È la posizione che è stata esposta ieri da Agnès Aflalo e da Éric Laurent, che non l’hanno assunta, ben inteso. Hanno evitato di dover leggere i libri che hanno studiato. Tale posizione progressista consiste nel mettere, nel cercare di mettere la psicoanalisi al passo del progresso delle scienze e delle false scienze. Parlo pensando ai valorosi traduttori. Li ringrazio tanto più che non hanno il mio testo scritto.

Allora, non è assurdo, questo tentativo. D’altronde, non ci è stato presentato a questo titolo. Esso non è neppure inedito. E tutta la metapsicologia di Freud ha mostrato dei segni di debolezza intorno alla metà del ventesimo secolo. Potremmo dire che Lacan ha proceduto a una traduzione logico-linguistica di tale metapsicologia. Egli stesso ha riconosciuto di aver dovuto passare di là, per ridare fiato alla psicoanalisi. Dunque, in effetti, non è assurdo, a priori, cercare di dare una traduzione neuro-cognitivista della metapsicologia. Possiamo dire: la cosa sarà giudicata a partire dai suoi risultati. Jorge Forbes ritiene che io esageri. È possibile, mostro così un’apertura mentale… insomma.

Voglio dire che non si deve insultare il futuro. Noi stessi ci abbiamo messo del tempo, per renderci conto che esisteva un’enorme industria di riflessione da dieci anni, da quindici anni, da vent’anni, come ci dice Agnès Aflalo. Da vent’anni ci sono delle api industriose che producono questo miele: tradurre la metapsicologia in termini neuro-cognitivisti e, ad ogni modo, noi non ci siamo accorti di nulla, sino a quando la cosa è salita alla ribalta e ha cominciato, qui e là, a creare scompiglio, a produrre disordine. Io sono a favore di coloro che possono interessarsi a tutto ciò e che ci riportano notizie di quello che avviene lì.

Bene! A titoli diversi – qui richiuderò un po’ l’apertura che ho aperto prima – le tre posizioni che ho distinto mi sembrano aprire su delle pratiche di suggestione.

La prima, la pratica reazionaria della psicoanalisi, procederà esaltando il simbolico veicolato dalla tradizione. D’altro canto, assistiamo ad alleanze sensazionali con tutti i tradizionalismi, che mettono in valore una convergenza sorprendente tra la Bibbia e "l’interpretazione dei sogni", indiscutibile.

La seconda pratica, che ho chiamato passatista, procederà attraverso il consolidamento di un rifugio immaginario.

Quanto alla terza pratica, che è sicuramente quella più avanzata, essa si consacra, si dedica a un’adesione, essa aderisce al reale della scienza, almeno così crede.

Ho distribuito così i tre termini: il simbolico, l’immaginario e il reale tra queste tre pratiche. Ciò che queste tre pratiche hanno in comune, mi sembra, è quello che noi abbreviamo quando scriviamo S1 -> S2, vale a dire il rapporto tra comando ed esecuzione o tra stimolo e risposta. Quello a cui queste pratiche mirano, per quanto diverse esse siano, potrebbe essere enunciato in questi termini: in tutti i casi, funziona.

Poi c’è la pratica lacaniana o, piuttosto, ci sarà, giacché si tratta d’inventarla. Certo, non si tratta d’inventarla ex-nihilo. Si tratta d’inventarla sulla via che l’ultimo Lacan, in particolare, ha aperto. E questa pratica lacaniana si lascia senza dubbio intuire in ciò che anima noi stessi.

Allora, la prima cosa, perché questa quarta pratica, la pratica lacaniana del futuro, regga all’urto, si distingua dalle forme che ho stigmatizzato, è quella di vedere bene il principio delle tre pratiche, il principio secondo cui "funziona".

Bene! Nella pratica lacaniana ci si deve lasciar condurre, anche se si sbuffa, ci si lascia condurre dalle parole che si dicono. La pratica lacaniana non può avere altro principio, se essa si distingue dalle altre, che quello secondo cui "fallisce". La pratica lacaniana fallisce. Riconoscerete, d’altro canto, nel fallimento un leitmotiv dell’ultimo Lacan. Ha fatto di tutto per mettersi nella posizione di fallire i suoi nodi e, ovviamente, tale fallimento non è un fallimento contingente. Tale fallimento è la manifestazione del rapporto con un impossibile. D’altro canto, Lacan è stato condotto a ciò a partire da un’indicazione di Freud, nevvero? La psicoanalisi è una professione impossibile. In effetti noi, suoi uditori e suoi lettori, siamo stati invasi da queste nozioni di fallimento e d’impossibile. Ci ha inoculato questi termini che, per l’appunto, ci proteggono, ci hanno protetto, sono stati come degli anticorpi rispetto al discorso del "funziona" e rispetto alle nuove pratiche della psicoanalisi, che hanno tutte questo principio. La pratica lacaniana esclude la nozione di riuscita. Arrivo persino a dire questo.

Vedo delle smorfie, dei volti tristi… non è proprio il caso. L’obiezione, ovviamente, sarebbe: ma, allora, la pratica lacaniana è senza valore. Vi faccio notare che Lacan non ha indietreggiato di fronte a ciò. Ha persino terminato una delle sue ultime lezioni in un modo enigmatico, dicendo che si tratta che la psicoanalisi sia una pratica senza valore".

D’altronde, avete constatato, perlomeno in Francia, in Europa, che in tutte le prove terapeutiche la psicoanalisi arriva sempre ultima. Allora, negli psicoanalisti che noi siamo, e anche negli altri, si genera un senso di colpa. Anche noi abbiamo i nostri successi, certo. Ma, forse, non dobbiamo esserne nemmeno tanto fieri, poiché sono d’una contingenza tale che non invalidano la legge del fallimento, ma bensì la dimostrano. Certo, c’è la passe. Certi vi riescono. Per l’appunto: sono cosi poco numerosi che tutto ciò serve a persuadere gli altri che vi hanno fallito! Ovviamente, è una logica un po’ speciale, della quale, una volta, Lacan ha dato un’indicazione che, tempo addietro, ho ripreso. È una logica in cui la contingenza prova, o perlomeno attesta, l’impossibile. In fondo, il fatto che c’è della contingenza fa sì che non si possa neppure dire che il fallimento sia la legge del reale, secondo la formula enigmatica di Lacan per cui "il reale è senza legge". Se non ci fosse la contingenza a smentire l’impossibile, avremmo una legge nel reale. Non abbiamo neppure questo.

Allora, ritorniamo al nostro discorso della civiltà. Come intendere ciò che è in prima fila, il discorso della civiltà ipermoderna? Che senso dare al matema che ci è così familiare, che senso dargli se, contrariamente alle apparenze, non si tratta del discorso dell’analista, ma del discorso della civiltà? Faccio come Pierre Ménard nel Chisciotte.

Il più-di-godere è salito al posto dominante. Ora, il più-di-godere è correlativo a quello che chiamerei, per parlare come Damasio - mi coltivo - uno stato del corpo proprio e, in quanto tale, il più-di-godere è asessuato. Comanda, ma cosa comanda? Non comanda un "funziona", ma un "fallisce" che, per l’appunto, noi scriviamo $. Quando si sbarra una lettera, in genere, è perché ci si è sbagliati, no? Qui il più-di-godere comanda un "fallisce" e, più precisamente, un "fallisce" nell’ordine sessuale. Nulla impedisce di considerare che questo $ scriva il "non c’è rapporto sessuale", tanto più che la lettera iniziale, S, è la stessa di quella del sesso. Ciò porterebbe a dire che l’inesistenza del rapporto sessuale, per l’appunto, è divenuta evidente, sino al punto da poter essere esplicitata, scritta – a partire dal momento in cui l’oggetto piccolo a è salito al socielo.

Nel regime del discorso del padrone, invece, era una verità rimossa dal significante padrone. E dobbiamo constatare che, oggi, il significante padrone, i significanti padroni, non riescono più a far esistere il rapporto sessuale. D’altro canto, questa è la disperazione dei religiosi; a parte quelli che, per l’appunto, si tengono a distanza dalla civiltà ipermoderna e che difendono con talento, con vigore, una forma più antica, una forma più tradizionale di quella odierna, una resistenza meritoria all’oggetto piccolo a, che viene esercitata dal lato Islam delle civiltà. E se, sul lato delle società ipermoderne, la religione si dispera su questo punto – il sesso è una disperazione per esse -, è comunque la questione sessuale che frena la salita, la risalita della religione. Come spiega una sociologa cristiana, cattolica, se sul lato delle società ipermoderne, la religione si dispera è perché, da noi, la religione si fonda sulla nozione della natura, che il reale ha mandato in prescrizione, che l’ascesa dell’oggetto piccolo a ha reso obsoleta.

Ovviamente, ciò che fa morir dal ridere - o dal piangere - è che un gran numero di psicoanalisti non abbia nessun altra idea che quella di venire a dare manforte. Vi giurano sulla loro esperienza che l’educazione del bambino necessita che egli possa farsi le proprie identificazioni sul papà e sulla mamma. Ritengo che questo sia un abuso. Un abuso che la loro esperienza non può assolutamente appurare. Era già ridicolo quando gli psicoanalisti si facevano i guardiani della realtà collettiva. Ma, in fin dei conti, allora andava ancora. Tanto più che la realtà collettiva, di cui vogliono essere i guardiani, è quella di ieri. Dire questo non implica alcun entusiasmo per i rimaneggiamenti in corso. Come la maggior parte di voi, sono stato educato in una forma più vecchia, più tradizionale. Seguo quello che si scrive.

La psicoanalisi è stata inventata per rispondere a un disagio nella civiltà, a un disagio del soggetto immerso in una civiltà, che potremmo enunciare così: per far esistere il rapporto sessuale, si deve trattenere, inibire, rimuovere il godimento.

La pratica freudiana ha aperto la via a quella che si manifestava – metteteci tutte le virgolette che volete – come una liberazione del godimento. La pratica freudiana ha anticipato la salita dell’oggetto piccolo a allo Zenit sociale e ha contribuito a istallarvelo. D’altro canto, non è un astro, è uno Sputnik, un prodotto artificiale.

La pratica lacaniana, dal canto suo, ha a che fare con le conseguenze di questo successo sensazionale; conseguenze che sono sentite come dell’ordine della catastrofe. La dittatura del più-di-godere devasta la natura, fa scoppiare il matrimonio, disperde la famiglia e rimaneggia il corpo, non solo sotto forma della chirurgia estetica o della dieta – lo stile di vita anoressico, come diceva Dominique Laurent - non si tratta solo di questo. Può arrivare sino a una chirurgia e a un intervento sul corpo molto più profondo. Ora che è stato decifrato, decriptato il genoma, andiamo veramente verso quella che alcuni chiamano la post-umanità.

Allora, la pratica lacaniana gioca la sua partita, rispetto alla pratica dell’IPA e ai suoi standard? Senza dubbio, ma essa gioca soprattutto la sua partita rispetto ai nuovi reali di cui testimonia il discorso della civiltà ipermoderna. Gioca la sua partita nella dimensione di un reale che fallisce, di modo che il rapporto dei due sessi tra di loro diventerà sempre più impossibile, che l’uno-tutto-solo, se così posso dire, sarà lo standard post-umano, l’uno-tutto-solo che compila i questionari per ricevere la sua valutazione e l’uno-tutto-solo comandato da un più-di-godere che si presenta nel suo aspetto più ansiogeno.

Quello che è mancato è il principio di qualsiasi sostituzione ed è proprio ciò che permette di dire, a un dato momento, "Bingo!". La pratica lacaniana, invece, opera nella dimensione del fallimento. Anche nella pratica lacaniana si dice "Bingo!". È un miracolo, una grazia. Si deve proprio riconoscere, come faceva lo stesso Lacan, che non è calcolabile. L’interpretazione analitica di cui si comprende come procede non è un’interpretazione analitica. È così che comprendo che Lacan ci abbia preso per mano per rassicurarci, in fin dei conti, su questo: non ci sono che diversi modi di fallire, di cui alcuni soddisfano più di altri. Non sono solo dei motti di spirito, non è solo il Witz. È la condizione per reggere l’urto nel discorso della civiltà ipermoderna. Questa pratica lacaniana, dunque, sarebbe la forma, la deformazione, la trasformazione – in senso topologico – che permetterebbe alla psicoanalisi di superare le conseguenze reali, che si producono a causa del suo esercizio, da un secolo a questa parte, per il fatto di essere stata introdotta in una civiltà, e che ora convergono sulla struttura del discorso analitico. E tali conseguenze fanno ritorno su di essa. Le conseguenze della psicoanalisi fanno ritorno sulla psicoanalisi e sui suoi tragitti. Possiamo persino dire che quella che era la sua condizione di possibilità diventa come una condizione d’impossibilità. Dico possibilità, ma si tratta piuttosto della contingenza dell’evento Freud; e potrebbe darsi che l’impossibilità, che è gia stata enunciata da Freud e che è stata articolata da Lacan, sia la condizione dell’esercizio stesso della psicoanalisi. In ogni caso, è ciò che si è scoperto a noi, non intellettualmente ma nella pratica, è il fatto che essa esiste su uno sfondo d’impossibile. D’altro canto, constatiamo anche di aver perso il gusto di raccontarci gli uni gli altri i nostri successi terapeutici. Quando, invece, testimoniamo di uno scoglio, abbiamo l’impressione che questo sia vero. È ciò che ha ben compreso, per esempio, Maurizio Mazzotti, che ieri ci ha apportato come testimonianza un’interpretazione a lato, un fallimento della pratica che ha suscitato maggior gradimento di quella che sarebbe stata la narrazione euforica del tipo: "Ho premuto questo pulsante, ha prodotto questo risultato e l’abito è caduto".

Ed è precisamente perché non si capisce come funziona, perché non funziona premendo dei pulsanti, indipendentemente dalla perfezione delle diagnosi o dell’esperienza clinica ecc…. E’ proprio per questo motivo che passiamo il nostro tempo spiegandoci gli uni con gli altri, tentando di spiegarci gli uni con gli altri quello che avviene e dando testimonianza di ciò.

La psicoanalisi che ha fatto tremare i sembianti sui quali poggiavano i discorsi e le pratiche, la psicoanalisi che ha svelato, in questo modo, quella che Lacan chiamava l’economia del godimento, la psicoanalisi che è – se così posso dire – un incrocio di socratismo e di cinismo, ebbene, ora la derisione e il cinismo sono entrati nel sociale, questo con quel po’ d’umanitario necessario a velare ciò di cui si tratta. Questa propagazione della derisione non ha risparmiato la psicoanalisi stessa. Oggi la psicoanalisi constata di essere vittima della psicoanalisi. E persino gli psicoanalisti sono, eventualmente, essi stessi vittime della psicoanalisi, vittime del sospetto instillato e distillato dalla psicoanalisi, quando non riescono a credere nell’inconscio. Anche i sembianti con cui la psicoanalisi si produce – il padre, l’Edipo, la castrazione, la pulsione ecc… – si sono messi a tremare. Per questo motivo, da vent’anni a questa parte, assistiamo al ricorso al discorso della scienza, da cui speriamo che ci darà il reale in questione e da cui speriamo che potrà darci del più-di-godere, vale a dire che ci permetterà di superare la barriera che separa l’S2 dal piccolo a nel discorso dell’isterica.

Allora, a questo punto, si deve ricordare la condizione di contingenza in cui la psicoanalisi è apparsa, vale a dire la scoperta da parte di Freud del sintomo isterico, scoperta che è stata fatta nel discorso della scienza e che verteva su un reale scientifico, un reale di tipo galileiano, un reale che albergava, che includeva un sapere. La scoperta di Freud è stata fatta nel contesto del materialismo psico-fisiologico della fine del XIX secolo. E, nel contesto di tale materialismo psico-fisiologico, dunque nel contesto di un reale di tipo galileiano, vale a dire che include un sapere, egli ha scoperto che vi è del senso nel reale. Bisogna dire che questo ha fatto scandalo. La psicoanalisi è apparsa come una corruzione del sapere scientifico. Perché il sapere scientifico può essere nel reale, ma non ne dice nulla. Il fatto che vi sia del senso nel reale implica che questo significa qualcosa, che vi è un’intenzione. E, per la psicoanalisi, il fatto che vi sia del senso nel reale è stata la sua condizione di possibilità. Il senso nel reale è il supporto dell’essere del sintomo, in senso analitico.

Tuttavia, si è lasciato fare, si è lasciato che Freud facesse. Possiamo chiederci perché. Lo si è lasciato fare, lui e i suoi discepoli, che hanno cominciato a proliferare. Li si è lasciati adulterare il sintomo con il sintomo mentale, si è lasciato che adulterasse ciò con il senso. Si è persino lasciato che la psichiatria fosse vinta da questo. Senza dubbio lo si è fatto perché non si aveva il sapere nel reale che avrebbe potuto rispondere a sintomi di questo tipo. Avevamo la lobotomia, la cura del sonno, ma si trattava di metodi grossolani. Dunque, si è lasciato tutto ciò, lo si è lasciato fare, con la sua intenzione di senso nel reale. Si è lasciato il trattamento del sintomo alla manipolazione del senso.

D’altro canto, perlomeno dopo Pinel, era già stato utilizzato il senso imperativo, l’S1, per trattare il sintomo, era una cosa tradizionale. In fondo, si è accettato l’S2 freudiano, vale a dire il senso associativo accanto al senso imperativo, sino al momento attuale. Sino al momento attuale in cui per aumentare, per così dire, il disagio della psicoanalisi, si è prodotta una scissione dell’essere del sintomo. Esattamente una scissione tra il reale e il senso; questa, però, era già attesa, logicamente attesa. Ne deriva la polverizzazione del sintomo, di cui testimoniano le diverse edizioni del DSM, dopo la prima edizione che, invece, era psicodinamica. Ciò che faceva tenere insieme il sintomo era il dire. Il sintomo aveva qualcosa da dire. Era, in definitiva, l’intenzionalità inconscia che faceva tenere insieme il sintomo. Ebbene, nel termine sintomo, il "sym" se n’è andato via e ora è rimasto solo il "ptomo". Il sintomo è ormai ridotto al disturbo. E l’inglese lo dice ancora meglio, poiché parla di disorder, termine che ha come riferimento l’ordine del reale.

In effetti, per la scienza, il reale funziona. Ed è a questo che serve il sapere nel reale. Per questo motivo si può dire che la scienza ha delle affinità con il discorso del padrone – d’altronde, Lacan l’ha segnalato mille volte. Bisogna proprio dire che, nella civiltà, non ci si crede più. Ora, infatti, nella civiltà ipermoderna, si ritiene che il sapere scientifico nel reale fallisca, che fallirà. Gli organismi geneticamente modificati, il nucleare, tutto ciò non genera più fiducia nel buon funzionamento del sapere nel reale, a partire dal momento in cui, certo, siamo noi che cominciamo a trafficarlo. Quello che fu il sintomo, e che non è più nient’altro che un disturbo, è ormai diviso in due, sdoppiato. Sul lato del reale, viene trattato fuori senso dalla biochimica, dai farmaci sempre più mirati. Il lato del senso continua ad esistere a titolo di residuo. Il lato del senso è oggetto di un trattamento complementare che, essenzialmente, assume due forme, mi sembra: da un lato, un ascolto di puro sembiante – "venga che l’ascolto" – che ha valore di accompagnamento e, spesso, persino di controllo dell’operazione che si compie nel reale tramite il farmaco. In effetti, i biochimici sono i primi a dire: "Ma assolutamente no, è necessario che i nostri pazienti siano anche ascoltati!".

La seconda forma che assume l’ascolto di puro sembiante è la pratica della parola autoritaria e protocollare delle terapie cognitivo-comportamentali. Abbiamo, quindi, il sintomo suddiviso in due. Sul lato del reale, si mira alla soppressione, più o meno approssimativa, del disturbo e, sul lato del senso, si ha una raccolta del senso, un ruscellamento del senso e, al contempo, un livellamento del senso. Bisogna dire che è soprattutto sul lato delle terapie cognitivo-comportamentali che si assiste a un rifiuto, a una confutazione del sintomo. Nella psicoanalisi, invece, il sintomo aveva valore di verità, rappresentava la verità sotto una maschera, dunque come una menzogna, e si doveva prendere il tempo di verificare il sintomo nel senso di renderlo vero. Oggi, in Francia, abbiamo visto che, per l’appunto, questo tempo che ci vuole non è più scontato. Come rispondere a tutto questo?

Allora, da un lato, abbiamo una protesta psicoanalitica, che è simpatica ma vana, e che consiste nel ricusare il sapere nel reale. In secondo luogo, abbiamo quello che chiamavo un’adesione al sapere nel reale. In terzo luogo, abbiamo il tentativo di rinnovare il senso del sintomo a cui Lacan si è attaccato. È quello che egli ha introdotto – modificando persino l’ortografia della parola – con il nome di sinthomo. Qui si deve riprendere Freud e Il disagio della civiltà che non era semplicemente una diagnosi, ma piuttosto il supporto della psicoanalisi, la sua promessa di successo. Prendo come riferimento piuttosto il progetto, che egli ha dato nel 1908, intitolato La morale sessuale ‘civile’ e il nervosismo moderno (FO, 5). È un testo divertente da rileggere, non è lungo. Tutti gli osservatori dell’epoca, al volgere del secolo, tra il XIX e il XX secolo, notavano, Freud li cita, nuovi sintomi che contrassegnavano tale svolta. Il più celebre è quello che è rimasto, la nevrastenia di Beard.

Tutti gli osservatori notavano la crescita, la propagazione della malattia nervosa, è un fenomeno sociale. Ho portato con il me il testo. Non lo leggerò. È un passaggio molto divertente, erba buona, che dà una descrizione della vita moderna, delle fatiche che essa implica, della sovrastimolazione. Potremmo proprio credere che si tratta di oggi. Quello che colpisce è che Freud cita tutto ciò all’inizio, poi lo mette da parte, ed estrae, invece, un fattore unico, una determinazione essenziale: la monogamia, l’esigenza monogamica. Così egli abbozza in quattro e quattr’otto una teoria del godimento sessuale nella civiltà. Non ci perdete nulla con le sue fantasie. Primo stadio: l’accesso libero al godimento. È veramente come dice Jean-Jacques Rousseau: "Cominciamo scartando tutti i fatti". Secondariamente: restrizione del godimento che è permesso solo a scopi riproduttivi. Terzo, oggi, il godimento è permesso solo nell’ambito del matrimonio monogamico. È divertente seguire tutto ciò nei dettagli. Freud ha isolato ciò che rende nevrotici, ciò che è nevrotizzante, vale a dire lo sforzo per far esistere il rapporto sessuale e il sacrificio di godimento che questo comporta.

Si può dire che qui troviamo l’indice puntato su quello che Lacan apporterà poi, che non consiste affatto nel ricusare il reale scientifico e il sapere nel reale. Ricusare il reale scientifico, ricusare il discorso della scienza, infatti, è una via di perdizione che apre a tutti gli intrallazzi "psi". Intrallazzo non è un termine ingiurioso. Si tratta, non di ricusare tale sapere, ma di ammettere che vi è del sapere nel reale e, al contempo, di porre che in tale sapere vi è un buco, che la sessualità fa buco in questo sapere. Dunque, è una trasformazione di Freud, senza dubbio, e si è avuta una nuova alleanza tra scienza e psicoanalisi che si fonda, se così posso dire, sul non-rapporto. Dunque, è il "non esiste rapporto sessuale" che dà il sito della pratica lacaniana, perché lo si deve intendere in questo modo: rispetto all’enunciato che afferma che "c’è del sapere nel reale", il "non esiste rapporto sessuale" bilancia il "c’è del sapere nel reale". È il rapporto sessuale che fa obiezione all’onnipotenza del discorso della scienza. D’altro canto, per il momento, le agenzie matrimoniali vengono lasciate nelle mani delle nonnine che hanno esperienza. I valutatori non sono ancora stati posti nelle agenzie matrimoniali. La cosa, però, non tarderà.

Ma, per il momento, è comunque sorprendente che ciò fa buco nel reale e nel sapere nel reale. Possiamo rappresentarlo semplicemente come il software che fa difetto in questo punto. È il principio di una pratica o di una clinica in cui i sintomi non sono dei disturbi, non sono dei disordini perché, in questo punto, non c’è ordine. Vale a dire che il sapere nel reale non detta la sua legge. Non si può intervenire in questo punto a partire dal sapere nel reale. È un enunciato negativo che richiama degli enunciati positivi. Devo sceglierli perché sto per terminare il mio intervento.

In primo luogo, i sintomi sono sintomi del non-rapporto sessuale. Il che significa: senza dubbio, essi sono articolati in significanti, ma questo è secondario. Non sono essenzialmente dei messaggi. Sono articolati in significanti ma questa è la chiacchiera dei sintomi. I sintomi sono innanzitutto dei segni del non-rapporto sessuale, eventualmente dei segni d’interpunzione. Lacan parlava dei sintomi come di punti interrogativi nel non-rapporto sessuale. Ieri ho sentito una paziente dire che, per lei, quello che le resta come angoscia si lega al corpo come una virgola, come una pausa di respirazione. Quindi, i sintomi sono dei segni. È un altro approccio, rispetto a quello che li vede come dei messaggi.

D’altro canto, i sintomi sono necessari, non cessano di scriversi e questo è ciò che fonda la loro equivalenza con l’eccetera. Sono reali a tal punto da potersi perfettamente confondere con il reale che funziona. Questo è il paradosso. Per questo motivo, nel momento stesso in cui Lacan dice che il sintomo è reale, dice anche che ci si deve credere, per l’appunto. Sono talmente reali che è arbitrario staccarli in quanto tali. È necessario che uno lo voglia. Volete un esempio? Prendete l’omosessualità. Essa si pone come disturbo dell’ordine naturale. Quando si imputa a un disturbo il fatto di essere un disturbo d’ordine naturale, oggigiorno c’è solo una cosa da fare: si deve fare una lobby. E se si fa una lobby, il risultato è che cessa di essere un disturbo dell’ordine naturale. Come sapete, è a seguito di una pressione, di una rapporto di forza politica, che l’omosessualità ha cessato di essere un disorder, che ormai non è più classificata come un disorder.

Dunque, si vede a che punto, qui, si raggiungono i risultati della psicoanalisi, di una psicoanalisi: il godimento perverso è permesso. Resta da sapere quello che si fa.

Ancora un altro enunciato positivo: i sintomi sono sintomi-godimento, per così dire, esprimono che il godimento non è al posto in cui si pensava dovesse essere, vale a dire nel rapporto sessuale, di cui Freud dà la scimmiottatura sotto specie della monogamia. Non è mai il buon godimento, quello che dovrebbe essere. Da qui accediamo a un certo numero di punti nodali di questa clinica, della messa in questione, che non vi racconterò oggi. Passa tramite questioni del tipo: l’inconscio è corporeo?

La poetica dell’interpretazione non è per abbellire, non è del kitsch. La poetica dell’interpretazione è un materialismo dell’interpretazione. Qualcuno che sta seguendo una paziente da nove anni mi raccontava, ieri o l’altro ieri, in controllo, di aver ottenuto un effetto assolutamente inedito, dopo questi nove anni, semplicemente dicendole "Basta!" con un tono la cui virulenza spiccava rispetto alla voce dolce che aveva il resto del tempo. Ci si deve mettere il corpo per portare l’interpretazione alla potenza del sintomo.

Cerco un punto per sospendere, non per concludere.

Ci vuole, comunque, il tempo per spiegare che, con l’ultimo Lacan, ci ritroviamo piuttosto con tre inconsci, con tre modalità diverse dell’inconscio.

L’inconscio freudiano lavora smodatamente. D’altro canto, Marco Focchi ha portato una lista di riferimenti in cui si vede che l’inconscio di sfianca di lavoro, mentre il parlessere lacaniano per niente. Lacan voleva che il parlessere lacaniano sostituisse l’inconscio freudiano. Voleva che lo sostituisse per rispondere, mi pare, al problema che ho posto sulla lavagna, vale a dire che si deve mettere la psicoanalisi in quarta. Il parlessere lacaniano non lavora. Il parlessere lacaniano, piuttosto, brulica, bolle a fuoco lento, infetta. Ha piuttosto lo stile del parassita.

Allora, le considerazioni, che ho dovuto saltare, conducevano a un’inversione di quello che diciamo tradizionalmente: il soggetto supposto sapere è il perno del transfert. Mi sembra che l’ultimo Lacan dica qualcos’altro, se così posso dire, egli dice piuttosto: il transfert è il perno del soggetto supposto sapere. Per dirlo in un altro modo, egli dice che ciò che fa esistere l’inconscio come sapere è l’amore. D’altronde, la questione dell’amore, a partire dal Seminario Ancora, subisce una valorizzazione assolutamente speciale in quanto l’amore è ciò che poteva fare mediazione tra gli uno-tutto-solo. Quindi, dire che è immaginario, in fin dei conti, presenta qualche difficoltà. Vale a dire che l’inconscio non esiste. L’inconscio primario non esiste come sapere. Perché divenga un sapere, per farlo esistere come sapere, ci vuole l’amore. Per questo motivo Lacan ha potuto dire, alla fine del suo Seminario I Nomi-del-Padre, che una psicoanalisi richiede di amare il proprio inconscio. È il solo modo di fare, di stabilire un rapporto tra S1 e S2. Perché, allo stato primario, abbiamo degli uni disgiunti, abbiamo degli uni sparsi. Dunque, una psicoanalisi richiede di amare il proprio inconscio per far esistere, non il rapporto sessuale, ma il rapporto simbolico. A uno psicoanalista, tuttavia, non è richiesto di amare l’inconscio. Non è richiesto a uno psicoanalista di amare gli effetti di verità dell’inconscio. Questo, però, è difficile perché un analista è anche un analizzante o un ex analizzante. E, tuttavia, per quanto riguarda la pratica lacaniana, non si deve amare il vero, così come non si deve amare né il bello né il buono.

 


Traduzione di Adele Succetti - Trascrizione di Vera Avellar Ribeiro

Conferenza tenuta al IV Congresso dell’AMP svoltosi a Comandatuba, Bahia (Brasile), 2004.
J.-A. Miller, E. Laurent, L’Autre qui n’existe pas et ses Comités d’ethique, Corso tenuto al Dipartimento di Psicoanalisi dell’Università di Parigi VIII nell’anno accademico 1996-1997, inedito.